Essere costantemente connessi alla rete, sia per lavoro che nel tempo libero, non sempre porta vantaggi, se non si è adeguatamente preparati.

Quanto tempo passi in rete, tra computer, smartphone e altri dispositivi? Durante il lockdown, un po’ per noia, un po’ per necessità legata allo smart working, questo tempo è sicuramente incrementato, con non poche conseguenze.

Ma non temere, sei in buona compagnia.

McKinsey, nel Report dedicato al comportamento di noi italiani durante l’emergenza COVID19, mostra che:

  • Il 64% degli italiani ha incrementato l’utilizzo dell’online;
  • Il 63% ha incrementato l’uso di videogiochi e chat;
  • Il 57% ha sperimentato per la prima volta la didattica a distanza;
  • Il 42% ha partecipato per la prima volta a videoconferenze per lavoro.

Ma c’è di più: queste nuove abitudini, e ce ne stiamo accorgendo già ora che l’emergenza è (si spera) passata, per molti di noi resteranno.

Lo Smart Working, per molti una novità, è entrato prepotentemente a far parte delle nostre vite e difficilmente se ne andrà del tutto.

Ciò può essere un fattore positivo, soprattutto consideriamo il consumo energetico o la diminuzione di traffico sulle strade, ma sotto altri aspetti, soprattutto per chi si approcciava per la prima volta a questa novità, i problemi sono molti.

Sto lavorando da casa o vivendo in ufficio?

Il limite tra pubblico e privato, tra sfera lavorativa e sfera quotidiana rischia di farsi sempre più sfocato, con ripercussioni sull’una e sull’altra, sulla nostra identità e sulle nostre performance lavorative.

Per sfruttare al meglio l’opportunità dello Smart Working (ma un discorso analogo può essere fatto anche per la didattica a distanza o per tutte le attività che dall’off-line si sono spostate online), oltre che di strumenti e tecnologie adeguate, è necessaria anche una corretta educazione digitaleSenza di essa, rischiamo è di esserne sopraffatti, con un carico cognitivo che va oltre le nostre possibilità.

Cos’è tuttavia questo carico cognitivo? Come gestirlo e come evitare l’iperconnessione?

Il carico cognitivo

Prima di parlare di smart working e rischio iperconnessione digitale, urge un salto nel passato, negli anni 90, quando lo psicologo John Sweller ha introdotto il concetto di carico cognitivo (cognitive load) ossia  la quantità di lavoro mentale che siamo in grado di sostenere. La nostra memoria a breve termine non è in grado di contenere un eccesso di informazioni, inoltre l’ambiente e le possibili distrazioni esterne condizionano enormemente il carico cognitivo con conseguenze negative sulla concentrazione e il portare a termine un’attività.

Durante il lockdown ci siamo improvvisati smartworker senza aver delineato chiaramente i principi di questo strumento. Le nostre case si sono trasformate in studi, uffici, aule togliendo gli spazi del nostro quotidiano. Sono venuti completamente a mancare confini fisici e temporali creando così un sovraccarico cognitivo, uno stress famigliare e spesso una sensazione di insoddisfazione generale.

Molte persone si sono rese conto che questo pc sempre aperto sul tavolo era un rimando costante al lavoro, quasi un richiamo che portava all’iperconnessione

Sopravvivere al carico cognitivo da iperconnessione

Ora questo non deve scoraggiarci perché lo smart working è certamente uno strumento interessante che può decisamente migliorare il lavoro se gestito nel modo corretto!

Per prima cosa è necessario porre dei confini (fisici e temporali), definire uno spazio di lavoro proprio, funzionale e ordinato e un orario di lavoro. Durante la quarantena ho parlato spesso con pazienti che si sentivano stremati perché non riuscivano a “sconnettersi” dall’attività lavorativa trovandosi a rispondere alle mail ancor prima di lavarsi la faccia al mattino! I confini ci tutelano e ci lasciano spazi personali!

Altro fattore importante riguarda la possibilità di creare cose nuove e non abbandonarsi alla nostalgia! A molte persone è mancato il caffè con i colleghi, la strada verso casa, la modalità abituale di lavorare. Più pensiamo a quello che “non abbiamo”, meno lasciamo spazio alle potenzialità dello strumento.

La domanda da porci è:“Quali benefici posso trovare in questa nuova modalità lavorativa?”. Molti hanno scoperto la possibilità di fare riunioni più frequenti senza investire tempo in tragitti e spostamenti!

Infine imparare ad organizzarsi. Lavorare da casa non significa rispondere ad una call mentre si carica la lavastoviglie! L’organizzazione è necessaria per porsi obiettivi individuali, darsi delle priorità e decidere cosa eliminare o delegare. 

Questo nuovo modo di lavorare può offrirci grandi possibilità e soddisfazioni e come diceva John Campbel: “Noi dobbiamo essere disposti a lasciar andare la vita che abbiamo pianificato in modo da vivere la vita che ci sta aspettando”.

Articolo comparso anche su Webheroes.it.